Si sa, una lente d’ingrandimento non è certo lo strumento più adatto per osservare le stelle: è molto meglio un telescopio direte voi! Eppure, spesso, ci si ritrova a voler scrutare la volta celeste cercando di comprendere l’incontenibile, come se l’osservassimo dal vetro del rigore logico.
È trascorsa una settimana dall’ordinazione diaconale di Francesco, uno dei missionari che, con gioia e fervore, accompagna i ragazzi della Pastorale Universitaria! Durante la celebrazione presieduta da Mons. Bruno Forte, Francesco ci ha ricordato ancora una volta che il cristianesimo è servizio, che vuol dire obbedienza a Dio Padre nella promessa e nel sigillo del diaconato che ha ricevuto.
Quest’articolo non vuole essere una biografia di san Luca, visto che studiosi molto più autorevoli di me hanno speso la propria vita nella ricostruzione storica del personaggio. Ma comunque vuole portarti a riflettere sull’importanza dell’evangelista antiocheno nel panorama cristiano dei primi secoli, provando a prendere spunti di riflessione anche per l’attualità.
A te che stai leggendo queste poche righe ti pongo una domanda da un milione di dollari: cos’è la verità? Ovviamente non potrai rispondermi così su due piedi e forse non riuscirai a trovarne una definizione precisa. Può darsi, invece, che tu ne abbia già compreso il significato profondo. Quante volte ci sentiamo dire che le nostre verità siano relative in rapporto a quelle degli altri oppure che il concetto stesso di verità sia troppo astratto e personale? Tuttavia ci fu un uomo che spese tutta la vita alla sua ricerca, giungendovi solo dopo un lungo pellegrinare: sant’Agostino.
Leggendo il titolo, sono certo che gli appassionati di pallacanestro abbiano immediatamente capito di chi parleremo oggi: Tornike Shengelia, cestista georgiano che poche settimane fa ha vinto il campionato spagnolo con il Baskonia, dove gioca anche il nostro connazionale Achille Polonara, visto giovanissimo agli esordi qui in Abruzzo, con Teramo. Sorvolando un attimo sulle questioni sportive, Shengelia è passato alla ribalta internazionale per aver firmato un contratto triennale con il CSKA Mosca, una delle Società più prestigiose d’Europa. Molti potrebbero domandarsi cosa ci sia di strano: ogni anno centinaia di atleti cambiano squadra ma nessuno solleva un polverone. Esattamente, è così. Fino a quando non è intervenuta nella questione Salome Zurabishvili, presidente della Georgia, con queste parole: “È un peccato, per me che sono presidente della Georgia è inaccettabile che il capitano della nostra nazionale di pallacanestro decida di giocare con il CSKA Mosca”.
Fa discutere la decisione del Consiglio di Stato turco su uno dei patrimoni dell’Unesco più famosi al mondo. Anche Papa Francesco si mostra preoccupato. Perchè quella su Santa Sofia non è solo una sentenza amministrativa, ma cela qualcos’altro
Mentre tutto il mondo è concentrato sul tema Coronavirus, che miete vittime e contagi e rischia fortemente di sconvolgere gli equilibri economici mondiali, arriva in un luglio per certi aspetti anomalo la notizia di una sentenza proveniente dalla Turchia che fa discutere: la Basilica di Santa Sofia ad Istanbul, tempio della cristianità prima e dell’Islam poi, dal 1934 museo, tornerà ad essere una moschea. Può sembrare una semplice sentenza amministrativa, inerente a fatti interni che poco possono avere a che fare con la politica internazionale, ma ad un’analisi più attenta si scopre che non è così. Ma cos’è e cosa rappresenta Santa Sofia? La sua storia inizia nel 532: sui resti di precedenti basiliche di quarto secolo, l’imperatore Giustiniano I, a capo dell’Impero Romano d’Oriente, decide di costruire un nuovo tempio, più maestoso dei precedenti. Per farlo si servì dei materiali migliori provenienti da ogni parte dell’Impero; non esistendo ancora la cinquecentesca basilica di San Pietro a Roma, ed essendo il Laterano in un’epoca di declino in seguito al declino stesso di Roma, la Basilica di Costantinopoli assunse lo status di basilica più imponente della cristianità, una cristianità ancora ignara di scismi e divisioni. Attraversò i secoli mantenendo una centralità sia a livello spirituale che a livello politico: l’incoronazione dei sovrani bizantini, infatti, avveniva proprio nel tempio dedicato alla Sapienza Divina. Il suo destino, come quello di tutta Istanbul e la Turchia, cambiò agli albori dell’età moderna, e cioè nel 1453: Costantinopoli fu presa dagli Ottomani, la popolazione islamica che riuscì a realizzare un grande impero e che fece proprio della Turchia il suo fulcro, e la Basilica fu subito convertita in moschea. Quella che era stata per quasi un millennio un simbolo della cristianità si avviava così ad essere per quasi cinque secoli un simbolo dell’Islam, di un Islam fortemente identitario. La storia cambiò nel ‘900, con la scomparsa dell’Impero turco in seguito alla prima guerra mondiale: il regime teocratico lasciò il passo ad una repubblica laica, laica per volere del suo fondatore, Mustafa Kemal detto Ataturk, cioè “padre della patria”, che si impegnò in una forte opera di occidentalizzazione e laicizzazione del paese, operando notevoli riforme e provvedimenti atti a fare della Turchia una nazione moderna e maggiormente aperta al dialogo con l’Europa. Tra i provvedimenti assunti ci fu anche la trasformazione della moschea di Aya Sofia in un museo: il tempio cristiano prima e islamico poi diveniva quindi un luogo di cultura privo di elementi spirituali diretti, destinato a brillare per la sua bellezza e a ricevere visitatori da tutto il mondo. Quella bellezza che ora andrà a perdersi dietro tende automatiche, che copriranno i mosaici e le raffigurazioni incompatibili con il culto islamico.
La sentenza dei giorni scorsi appare così essere un ritorno al passato per la nazione turca, anche se questo non deve stupire: l’attuale presidente, Racep Tayyip Erdogan, Presidente della Turchia dal 2014 ma già per dieci anni Primo Ministro, è il leader del partito AKP, un partito conservatore dai forti tratti islamisti che tenta di restaurare nel paese una più marcata identità islamica, compresa la sua vocazione nel controllare gli equilibri nel Mediterraneo, come le vicende libiche ben dimostrano. Un novello stato ottomano è dunque l’obiettivo di Erdogan, che da novello califfo aspira ad avere anche i suoi simboli: Santa Sofia è uno di questi. Un’ideologia che fa degli elementi religiosi dei collanti per il proprio potere, e che per essere egemone soffoca elementi di pluralismo e di convivenza civile tra uomini di religioni diverse. Vanno lette in questo senso le parole di preoccupazione e di delusione che Papa Francesco ha usato nell’Angelus dello scorso 12 luglio per commentare la notizia: oggi può essere il ripristino di una moschea, domani chissà, ma il tutto è finalizzato ad instaurare un nuovo e potente stato islamico, che possa essere ago della bilancia nelle scelte di politica internazionale. Ma non solo: si configura fortemente il rischio che le minoranze, in primis quella cristiana, debbano soffrire molto questa rinnovata ascesa di uno stato fortemente identificato con una e una sola religione, che di fatto riduce al minimo le possibilità di libertà civile e religiosa per chi non è allineato al sistema. La repressione dei dissidenti è in Turchia già un dato di fatto: il fallito golpe dell’estate del 2016 ha permesso di fatto ad Erdogan di liberarsi dei suoi avversari politici, configurando così sempre più la Turchia con un un regime fortemente autoritario; se questo succede ai dissidenti politici, nulla vieta che succeda anche a chi professa una fede diversa da quella del capo.
Nel silenzio forse colpevole dei leader europei ed occidentali (il processo di inserimento della Turchia nell’Unione Europea, tra l’altro molto dibattuto, è di fatto fermo) è stata la Chiesa ortodossa a far sentire la sua voce: sia il patriarca russo-ortodosso Kirill che il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I hanno espresso parole di forte preoccupazione per una decisione che rischia di inasprire e rendere complicate le iniziative di dialogo tra uomini di fedi diverse; una scelta, quella di Erdogan, che radicalizza e che sposta ancor di più il baricentro del paese anatolico lontano dagli indirizzi laici e plurali voluti dal fondatore della patria, il già citato “Ataturk”. Erdogan, che non nasconde fini imperialistici anche all’interno dello stesso mondo islamico (pensiamo a quanto succede in Medio-Oriente e alla Siria in particolare), ha lanciato così un segnale, l’ennesimo: sta a noi occidentali, angustiati dalla pandemia, coglierle le conseguenze di simili azioni e prevenire eventi analoghi. Quello di Santa Sofia potrebbe non essere un episodio isolato: vigiliamo.
Due uomini dal carattere incendiario. Il primo fu un umile pescatore chiamato ad essere “pescatore di uomini” e pastore del gregge di Dio. Il secondo fu un romano ellenizzato, un retore ed un convinto persecutore dei Cristiani. Il primo visse accanto a Gesù per tre anni, condividendo tutto, l’altro lo conobbe per un istante lungo la via per Damasco ma ne rimase folgorato per tutta la vita. Oggi la Chiesa festeggia santi Pietro e Paolo, due figure così diverse al punto che molti esegeti e teologi si sono interrogati sul loro rapporto, sicuramente non semplice. Dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere paoline apprendiamo molti dettagli sul legame tra “Cefa” e Saulo di Tarso.
“Questo è un Paese senza memoria, dove l’unica cosa da fare è cercare di non morire perché chi muore (fatte salve la solita mezza dozzina di sacre mummie: Dante, Petrarca, eccetera, che nessuno legge) è morto per sempre. È un Paese senza passato, il nostro, che non accumula né ricorda nulla. Ogni generazione non solo seppellisce quella precedente, ma la cancella”
La Pentecoste chiude il tempo pasquale, ma anche nel tempo ordinario la Chiesa celebra le meraviglie che il Signore compie per i suoi figli: in questa domenica si festeggia il Corpus Domini.Read More
Se andassimo a Padova e sentissimo parlare del “Santo”, non avremmo bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni ai padovani perché ci si può riferire solo ad una persona con questo appellativo: sant’Antonio. Un uomo che ha segnato profondamente la storia nell’arco di una vita breve (morì a 36 anni) ma intensa e culminata con una canonizzazione a tempi di record visto che Gregorio IX lo nominò santo dopo nemmeno un anno dalla sua morte. E oggi la Chiesa lo commemora, con grande partecipazione popolare.
